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Dopo la stabilità del biennio 2014-2016, le emissioni di gas serra tornano a salire. Ecco i dati del rapporto Global carbon budget 2018

(Immagine: pixabay/CC)

Dal 2014 al 2016 le emissioni di gas serra sono rimaste stabili. Pensavate a un’inversione di rotta? Al rispetto degli accordi internazionali sul clima? Beh, vi eravate illusi. Secondo gli ultimi dati del Global carbon project (Gcp), i valori sono tornati a salire: +1,6% nel 2017, mentre per il 2018 si stima un aumento del 2,7%, raggiungendo così i livelli più alti mai registrati. Lo studio Global carbon budget 2018, di cui si parla su Nature, Earth System Science Data e Research Letters, arriva nel bel mezzo dei lavori della Cop24 (l’annuale conferenza internazionale delle Nazioni Unite sul clima) che si sta tenendo in questi giorni in Polonia. Che aria tira dunque per il pianeta?

Se le previsioni degli esperti del Gcp – basate sui dati forniti dall’industria di produzione di energia e delle infrastrutture nei primi nove mesi dell’anno, e sulle tendenze economiche nei diversi Paesi – saranno confermate nei fatti, lo sversamento di anidride carbonica in atmosfera ammonterà 37,1 miliardi di tonnellate all’anno. Un record di cui non andare di certo fieri.

Ma perché questo rialzo? Fondamentalmente perché, stando al rapporto, il mondo non sta facendo abbastanza e in alcuni casi fa ancora meno di quanto potrebbe o che aveva promesso. In generale, denunciano i tecnici, abbiamo continuato a bruciare sempre più carbone, petrolio e gas, e non ci sono stati interventi forti dei governi per invertire la tendenza e neppure azioni proporzionate agli obiettivi di Parigi 2015. A contribuire al rialzo delle emissioni per il 2018 ci sono la deforestazione e il consumo di suolo, che aggiungono 5 miliardi di tonnellate di Co2 in atmosfera al dato iniziale.

Stiamo assistendo ancora una volta a una forte crescita delle emissioni globali di Co2”, ha sottolineato Corinne Le Quéré, direttrice del Tyndall centre for climate change research dell'università della East Anglia (Uea). “Per affrontare i cambiamenti climatici, le emissioni devono raggiungere il picco e diminuire rapidamente. Con la crescita delle emissioni di quest'anno, sembra che il picco non sia ancora in vista”.

Secondo il rapporto del Gcp è la Cina a produrre la maggiore quantità di Co2 nell’anno corrente. Le sue emissioni rappresenterebbero il 27% del totale mondiale, con una crescita nel 2018 in media del 4,7%, dovuta all’attività edilizia e alla spinta alla crescita economica. Il 60% del fabbisogno energetico della superpotenza asiatica, inoltre, è ancora soddisfatto dal carbone, anche se i piani del governo sono di ridurlo al 10% entro il 2050.

Negli Usa (che contribuiscono per il 15% al totale delle emissioni di gas serra) per il 2018 è previsto un rialzo del 2,5% delle emissioni di gas serra. A favorire il maggior consumo di combustibili fossili ci si sono messi un’estate particolarmente calda e un inverno particolarmente freddo (almeno nel nord-est), ma anche il basso costo del petrolio e la frenata del passaggio dalle centrali a carbone agli impianti di gas naturale e alle energie rinnovabili. Come è noto, l’amministrazione Trump sta portando avanti politiche di negazione del cambiamento climatico, con continue revoche delle normative di protezione ambientale e le ripetute minacce di uscita dagli accordi internazionali di Parigi del 2015.

L’Unione Europea, invece, rimane il terzo emettitore a livello mondiale (10%). Si conferma un lieve trend negativo (-0,7%) nelle emissioni di gas serra, ma ancora molto al di sotto dell’obiettivo. In Europa le rinnovabili vanno abbastanza forte, tuttavia negli ultimi due anni c’è stato un rialzo di consumo di petrolio per il trasporto stradale e aereo.

Nel resto del mondo gli altri principali emettitori indicati nel rapporto sono l’India (7% delle emissioni totali), Arabia Saudita, Iran, Turchia, Iraq e Corea del Sud, che complessivamente producono il 42% delle emissioni.

“Per limitare il riscaldamento globale all'obiettivo di 1,5° C dell'Accordo di Parigi, le emissioni di Co2 dovrebbero diminuire del 50% entro il 2030 e raggiungere lo zero netto intorno al 2050”, ha ricordato Le Quéré. “Siamo molto lontani da questo proposito e c'è ancora molto da fare”. E aggiunge: “Abbiamo già visto quest'anno come i cambiamenti climatici possono amplificare le ondate di caldo in tutto il mondo. Gli incendi in California sono solo un assaggio di quello che affronteremo se non riduciamo rapidamente le emissioni”.

Rimane però anche un po’ di ottimismo tra gli esperti del clima. “Se vogliamo raggiungere gli obiettivi per il contenimento delle temperature dell'accordo di Parigi, le emissioni globali di Co2 devono iniziare a scendere dal 2020, e questo è alla nostra portata”, sostiene Christiana Figueres, principale autrice della pubblicazione su Nature.

“Abbiamo già realizzato cose che sembravano inimmaginabili solo un decennio fa. Stanno avvenendo progressi esponenziali in settori chiave e siamo sulla buona strada per sostituire i combustibili fossili. In un decennio i costi delle tecnologie energetiche rinnovabili sono diminuiti dell'80% e oggi oltre la metà di tutta la nuova capacità di produzione di energia è rinnovabile”, aggiunge. “Prima del 2015 molte persone pensavano che l'accordo di Parigi fosse impossibile”, conclude Figueres. “Eppure migliaia di persone e di istituzioni hanno compiuto il passaggio dall'impossibile all'inarrestabile. Lo stesso varrà per la decarbonizzazione dell'economia”.


Fonte: WIRED.it
 
 
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